Anabasi (363) - Ep. 9 (1)
Salute e salve! E benvenuti alla Storia d'Italia! Come sapete ogni tanto pubblico la trascrizione dei miei episodi in Podcast, ecco uno dei più famosi, l'episodio dedicato alla missione di Giuliano in Persia.
Vi preannuncio che questo episodio sarà piuttosto lungo: non volevo interrompere il pathos della narrazione tagliando l'episodio in due! Nello scorso episodio abbiamo visto Giuliano meritarsi l'appellativo di “apostata” e l'amore imperituro delle future generazioni di Cristiani: con una serie di editti e decisioni politiche Giuliano ha iniziato il suo processo di marginalizzazione della religione cristiana e di rilancio di un nuovo paganesimo semi-monoteistico di inspirazione neoplatonica.
Giuliano non ebbe però il lusso di osservare platonicamente l'effetto delle sue decisioni: la guerra incombeva. Si tratta della guerra provocata dalla Zio Costantino e che negli ultimi decenni, nell'alternarsi degli imperatori, ha sempre avuto un unico nemico: Shapur II detto il Grande, Re dei Re, sovrano di Iranshahr e nemico implacabile dei Romani.
Senofonte, il celebre storico greco, narrò in prima persona l'Anabasi: Anabasi vuol dire viaggio verso l'interno, in questo caso il centro delle terre del grande impero persiano. Senofonte e diecimila mercenari greci combatterono per l'usurpatore Ciro e una volta che Ciro fu sconfitto dal re dei re, Artaserse, finirono per ritrovarsi in quello che per loro era il centro dell'Asia, circondati da un impero ostile. In questo episodio Giuliano ripercorrerà i passi dei mercenari greci di Senofonte, anche lui con uno storico-guerriero alle calcagna, il nostro Ammiano Marcellino. E questo è quello che faremo oggi, una nuova Anabasi verso il cuore dell'impero dei Re dei Re.
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Quel che restava nell'800 della grande sala del trono di Ctesifonte. Si tratta della più grande volta in muratura mai costruita.
La guerra con l'Iran era la preoccupazione strategica principale dello stato Romano. Le frontiere danubiane e renane erano importanti, certo, ma la ricchezza dell'impero era nelle sue province orientali: l'Asia Minore, la Siria e soprattutto l'Egitto, la fonte inesauribile del grano che sfamava le capitali dell'impero. Queste province erano esposte alla minaccia persiana.
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Giuliano mise termine al suo infelice soggiorno in Antiochia e marciò verso oriente con un immenso esercito forte di 65.000 tra i migliori soldati dell'Impero, presi dalle truppe mobili imperiali, il Comitatus. Molti di loro erano venuti perfino dalle lontane Gallie con Giuliano, inizialmente per combattere per lui nella guerra civile con Costanzo. Come detto siamo molto fortunati perché tra la moltitudine dei soldati ce ne era uno speciale, il nostro Ammiano Marcellino, il più grande storico della tarda antichità: si tratta di uno dei rari casi di testimonianza diretta di una campagna militare di questo periodo. Andrò quindi un po' nel dettaglio delle cose, una volta tanto che abbiamo il lusso dell'abbondanza di informazioni credibili su quello che avvenne.
Come detto Giuliano decise di abbandonare la politica di contenimento adottata da Costanzo e nella primavera del 363 dopo cristo iniziò una concertata campagna di aggressione verso l'impero dei Persiani. Prima di parlarne cerchiamo di capire un po' la geografia dei luoghi che attraverseremo, ovvero la Mesopotamia, l'antica patria degli imperi Assiro e Babilonese. Mesopotamia – come penso quasi tutti sapranno – vuol dire terra tra i fiumi. I fiumi in questione sono l'Eufrate e il Tigri. L'Eufrate è quello più occidentale e tradizionalmente demarcava il confine tra l'Impero Romano e gli imperi orientali, anche se non ai tempi di Giuliano, come vedremo. Il Tigri scorre più a est e sulle sue rive si trovava a quei tempi la grande capitale dell'Iranshahr, ovvero Ctesifonte. Entrambi nascono dai monti dell'Asia minore e attraversavano quello che allora era il regno dell'Armenia, un regno montano di confine tra Roma e Iran, largamente cristianizzato e che da decenni era nell'orbita politica romana. L'Armenia antica era molto più vasta della piccola nazione armena moderna e comprendeva buona parte delle terre tra l'Eufrate e il mar Caspio.
Una volta attraversate le montagne i due grandi fiumi sboccano su una fascia pedemontana abitabile a cavallo tra le moderne Siria, Iraq e Turchia. Questa fascia era dove si concentravano tradizionalmente le sfide militari tra Persia e Roma, visto che si tratta di un'area facilmente transitabile, a differenza delle montagne dell'Armenia, e senza problemi di approvvigionamento, a differenza del deserto siriano più a sud. Deserto quasi impassabile che formava la gran parte del confine tra i due imperi e che oggi è l'ampia area di confine tra Iraq e Siria. La fascia abitabile tra il deserto e le montagne, la Mesopotamia settentrionale, era stata conquistata da Diocleziano e fortemente fortificata. In particolare la grande fortezza di Nisibis era la chiave di volta del sistema di difesa costruito da Diocleziano per imbottigliare i persiani in Mesopotamia e impedirgli di invadere l'oriente romano, come avevano fatto con devastante successo durante la crisi del terzo secolo. Lo sapeva bene Shapur che aveva assediato Nisibis senza successo tre volte.
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Giuliano, una volta attraversato l'Eufrate, marciò con l'esercito verso Carre, nella Mesopotamia Romana. Qui Crasso era andato a morire ai tempi in cui era un triumviro assieme a Cesare e Pompeo, in uno dei più gravi disastri militari della storia romana. Una volta a Carrae Giuliano divise il suo esercito in due parti, la parte maggiore l'avrebbe seguito mentre l'altra, forte di 30 mila uomini, fu messa al comando di un certo Procopio, suo lontano parente e futuro usurpatore imperiale. Il compito di Procopio era di attaccare l'Iran nella direzione che probabilmente Shapur si attendeva, ovvero attraverso la Mesopotamia e il Tigri, di gran lunga la via più agevole per raggiungere Ctesifonte e il cuore dell'impero persiano. Procopio avrebbe dovuto attirare il grosso dell'esercito persiano, devastare per quanto possibile i territori al di là del Tigri e se possibile ricongiungersi con il re Arshak dell'Armenia, che aveva promesso aiuti per la campagna militare di Giuliano. L'apostata però non aveva nessuna intenzione di attaccare la Persia dove si attendeva Shapur: con i restanti 35 mila uomini decise infatti di dirigersi verso sud e tornò sull'Eufrate. Lì l'esercito fu raggiunto dall'arma segreta che Giuliano aveva fatto preparare durante l'inverno: ovvero una immensa flotta di 1000 navi da trasporto logistico e 50 navi da guerra, con relativi marinai. Le navi erano state costruite con uno sforzo che è facile considerare titanico. Dalle sabbie del deserto uscirono inoltre alcuni re e tribù Arabe per unirsi ai Romani, che non ne apprezzavano molto le capacità militari ma li consideravano i migliori esploratori del mondo.
Il piano di Giuliano era infatti ambizioso: si trattava di ridiscendere l'Eufrate, conquistando e devastando alcune delle aree più ricche dell'impero persiano. La flotta sul fiume avrebbe avuto il compito di fornire supporto logistico, sia per i materiali da guerra che per le vettovaglie. I Persiani non avevano nulla del genere a disposizione come difesa sui fiumi e si sarebbero attesi un attacco dal Tigri, non dall'Eufrate. In più come detto le forze di Procopio erano state inviate per attrarre Shapur fuori dalla Mesopotamia.
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L'esercito, una volta pronto, varcò la frontiera: i soldati passarono presso l'antica città-fortezza di Dura Europos: una città morta che era stata un tempo una importante città romana ma che era stata conquistata dagli Shah ai tempi della crisi del terzo secolo e da allora abbandonata. Dalle pagine di Ammiano si percepisce il senso di avventura e scoperta di un mondo alieno che si spalanca di fronte agli ignari soldati. Il primo obiettivo è una città-isola fortificata sul fiume, Anathas. Da questo punto in poi l'armata combinata di terra e di fiume discese l'Eufrate devastando le campagne e occupando una serie di città rese spettrali dall'abbandono degli abitanti: non c'era nessuna forza militare in Mesopotamia in grado di fermare l'esercito di Giuliano e gli abitanti fuggivano alla vista dell'esercito. Una volta che i Romani giunsero nel cuore della Mesopotamia i persiani tentarono di rallentare l'avanzata dell'armata d'invasione rompendo gli argini delle canalizzazioni e inondando i campi, ma i Romani erano ancora i Romani e superare un ostacolo naturale attraverso l'abilità dei loro genieri era la loro specialità.
La prima vera resistenza si ebbe a Peroz-Sabur, o Pirisabora secondo i greci, una città a sole 50 miglia da Ctesifonte, l'obiettivo della campagna militare. Peroz-Sabur era la seconda città più importante della Mesopotamia dopo la capitale. Presidiata da un forte distaccamento dei persiani, la città offriva potenzialmente una robusta difesa. Tuttavia le mura furono presto distrutte dalle macchine d'assedio dei romani. La guarnigione si ritirò in una cittadella interna mentre il nemico iniziava il saccheggio della città, ma i persiani si arresero dopo appena due giorni di assedio, alla vista della terribile Helepolis, la torre d'assedio mobile costruita dai Romani per l'occasione. Pirisabora fu bruciata e devastata senza pietà dalla soldatesca, che ben ricordava il trattamento dei persiani nei confronti di Amida, catturata quattro anni prima. Il bottino della città fu distribuito da Giuliano all'esercito.
L'esercito continuò la sua marcia verso sud e giunse ad assediare Maiozamalcha, a soli 11 miglia da Ctesifonte. Lì per poco Giuliano non fu colpito dal disastro, a causa della sua avventatezza. Durante l'assedio Giuliano andò personalmente in esplorazione, con un minuscolo seguito, delle difese della città ma fu vittima di un agguato improvviso da parte di una decina di guardie persiane. Marcellino sostiene che il nostro imperatore filosofo fece scorrere personalmente il sangue di uno degli attaccanti prima che le sue guardie riuscissero a mettere in fuga gli altri: vero o no è un episodio che testimonia la temerarietà del nostro Giuliano, che aveva fatta molta strada dai tempi prima dell'accessione al trono, quando era un impacciato topo di biblioteca senza alcuna esperienza militare. Va detto che il coraggio è una gran cosa per motivare i soldati, ma può anche essere un'arma a doppio taglio, come vedremo.
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Maiozamalcha però resisteva: era costruita sul fiume e su una roccia facilmente difendibile, con le aree più deboli protette da impressionanti baluardi. Gli abitanti e i difensori si facevano gioco dei romani, insultando inoltre un principe reale persiano che aveva defezionato e che era probabilmente il candidato di Giuliano al trono persiano, una volta sconfitto Shapur. Di fronte alle difficoltà, l'alto comando romano decise di tentare di prendere la città con un massiccio attacco coordinato. Scrive Ammiano “Da un lato si elevavano alti terrapieni, dall'altro si colmavano i profondi fossati. Si costruivano inoltre nascondigli sotterranei per mezzo di lunghi passaggi, mentre gli ingegneri disponevano le macchine d'assedio che si sarebbero scatenate con enorme fracasso. Nevitta e Dagalaifo attendevano alla costruzione di gallerie sotterranee e di tettoie, mentre l'imperatore soprintendeva all'assalto e alla difesa delle macchine da guerra dagli incendi e dagli attacchi dei nemici”. Mi ha colpito questo passaggio perché dimostra la modernità e complessità della macchina bellica romana: cambiando pochi dettagli potrebbe essere la narrazione di una battaglia della prima guerra mondiale, come Verdun.
Giuliano ordinò l'assalto: narra Marcellino che I dardi che scagliavano i romani rimbalzavano però sulle forti mura e sulle pesanti armature di acciaio dei difensori della città. Poi aggiunge “quando i romani, proteggendosi con graticci di vimini, cominciarono a spingersi sotto le mura gli assediati fecero rotolare su di loro enormi massi mentre gli arcieri li respinsero scagliando fiaccole e dardi infiammati. Inoltre le baliste dei persiani, armate di dardi di legno, si torcevano stridendo e scagliando dardi senza fine. Anche gli scorpioni, nascosti alla nostra vista, lanciavano contro di noi pietre rotonde”
L'attacco fallì quel giorno, mentre il giorno successivo uno dei grandi bastioni della città fu abbattuto dagli arieti romani, assieme ad un tratto di mura. I romani provarono con tenacia a sfondare, ma al tramonto la città resisteva ancora, con altrettanta determinazione. A questo punto Giuliano pensò persino di abbandonare l'assedio e andare oltre, ma sapeva che era molto pericoloso lasciare nelle sue retrovie una fortezza importante dotata di una guarnigione che avrebbe potuto attaccare le sue retrovie.
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I Romani avevano però un'arma segreta: i genieri avevano lavorato con la solita velocità ed efficienza, costruendo di nascosto un tunnel sorretto da pali di legno, dalle linee romane fin sotto la città assediata. Quando il tunnel era oramai quasi giunto sotto le case della città Giuliano comandò un assalto fittizio alle mura, per nascondere il rumore delle piccozze dei genieri, oramai vicine alla superficie. Quando il tunnel finalmente sbucò in superficie 1500 uomini scelti si riversarono dentro la città prendendo di sorpresa le sentinelle persiane e aprendo un varco agli assedianti. I Romani si riversarono nella città, massacrando, violentando e saccheggiando chiunque e qualunque cosa sul loro cammino. Alcuni persiani, disperando, finirono per gettarsi dalle mura. Una volta terminato l'assedio Giuliano decorò i più arditi e i primi ad uscire dal tunnel con l'antica corona obsidionale, il secondo più alto onore militare ai tempi della Repubblica. Si trattava di una corona di foglie di quercia: portarla era un orgoglio immenso per ogni romano.